Il Peltro

La principale componente del peltro (lat. peltrum) è lo stagno, tanto che nei paesi di lingua tedesca e francese, ad esempio, esso non ha un nome suo proprio, ma viene semplicemente chiamata stagno, ossia rispettivamente, Zinn ed Étain. La cosa è strana, considerato che il francese antico già possedeva un vocabolo per definirla – peautre – che, evidentemente col trascorrere dei secoli, pian piano, andò in disuso e infine, smarrendosi, non arrivò ai nostri giorni. In Inghilterra, invece la lega venne chiamata pewter, la cui radice è la stessa del nostro peltro e del gallico peautre.

Lo stagno è un metallo grigio argenteo, che si ricava in massima parte dalla cassiterite (da cui, Cassitèridi – lat. Cassiterides -, nome con cui anticamente furono designate molte isole dell’arcipelago britannico meridionale (isole Scilly) – comprendendo forse tra queste anche la penisola di Cornovaglia – a causa delle miniere di stagno scoperte da Fenici e Cartaginesi). Si trova come stagno di estrazione in giacimenti sotterranei, accompagnato da altri minerali, oppure come minerale di sedimentazione, quasi alla superficie del suolo, nelle sabbie metallifere, messo allo scoperto da fenomeni di disgregazione. Sia i filoni metalliferi, sia i sedimenti alluvionali e le sabbie possono raggiungere uno spessore di alcuni metri.

Le proprietà alle quali lo stagno deve il favore incontrato in tutti i tempi sono molteplici; dal punto di vista tecnico è possibile evidenziare l’assoluta atossicità, la notevole resistenza agli agenti chimici ed atmosferici, il punto di fusione relativamente basso, 232°C, la notevole scorrevolezza allo stato liquido, la capacità di legare ottimamente con altri metalli, la duttilità ed il colore brillante che lo rende simile all’argento. Essendo un metallo relativamente tenero, lo stagno viene temperato con altre componenti, che permettono di ottenere appunto il “Peltro”.

Esso ha un piacevole colore brillante, non si ossida a contatto con l’aria, mantenendo quindi inalterata la sua lucentezza, non si ricopre di una patina verde come il rame e non annerisce rapidamente come l’argento. Le sue prerogative trovano un eloquente sostenitore nello scrittore di cose d’arte Cornelius Gurlitt (1850 – 1926), il quale afferma convinto: “Si provi una volta almeno a mangiare in una scodella di peltro e si resterà meravigliati di come sia gradevole, di come si taglino facilmente i cibi, come questi si conservino caldi e come il vino e la birra restino freschi se versati in un boccale di peltro”.

I nostri peltri vengono realizzati con una lega composta da stagno (minimo 95%), antimonio e rame (massimo 5%), che sono utilizzati proprio di al fine di conferire consistenza e rigidità allo stagno.
Essi sono pertanto conformi ai requisiti fissati dallo Standard Europeo EN 611/1-2, e quindi idonei ad essere utilizzati per contenere cibi e bevande.


Storia del peltro

Dai reperti archeologici possiamo dedurre con certezza che l’uomo utilizza lo stagno da almeno quattro millenni. Nella preistoria esso veniva impiegato di preferenza come metallo di lega (12-14%), in particolare unito col rame, per la produzione del bronzo; in Egitto, il Paese che diede le realizzazioni più significative per quel tempo nel campo della lavorazione dei metalli, si ha la conferma dell’impiego dello stagno, dal ritrovamento di statuette in bronzo dell’epoca delle grandi piramidi (IV dinastia, 3.600 a.C.). Il primo esempio conosciuto di oggetto in peltro fu trovato in una tomba ad Abydos e si ritiene appartenga al periodo 1350-1380 a.C. . Si tratta di un oggetto a forma di fiasca con coperchio a cerniera e due manici ai lati; dalle analisi effettuate la lega utilizzata è paragonabile a quella del peltro dell’inizio del XIX secolo.

Pure il sistema con cui veniva commerciato lo stagno conferma la sua antichissima ed estesa utilizzazione. Fu portato dapprima dalle regioni dell’Asia Centrale, con carovane, nei territori dell’odierna Asia Anteriore; più tardi, quando i Fenici presero possesso dei mari, le flotte lo trasportarono lungo le coste spagnole e francesi, fino alle isole del Mare del Nord. Nell’isola di Wight e nelle montagne della Cornovaglia i mercanti Fenici scoprirono regioni ricche di stagno, alle quali più tardi giunsero anche i Romani, le sfruttarono ed esportarono il metallo in altri Paesi. Contemporaneamente cominciò lo sfruttamento dei minerali di stagno anche in Francia (Bretagna), in Spagna (Provincia di Galizia) e in Etruria (presso Campiglia Marittima), però in proporzioni più limitate, seppure tali da permetterne il commercio.

La storiografia attesta l’impiego dello stagno già in tempi remoti. La Bibbia sembra a tutt’oggi il più antico documento che menzioni anche lo stagno fra i metalli allora conosciuti (circa 1225 a. C.) e precisamente nel Vecchio Testamento (IV libro di Mosé, cap. 31); passi di Omero ed Esiodo sulla guerra di Troia descrivono motivi ornamentali in stagno sui carri da guerra e sugli scudi di Agamennone e di Ercole. Il commediografo latino Plauto descrivendo un sontuoso banchetto del suo tempo, riferisce che tutte le vivande venivano servite in vasellame di stagno. Sempre in quel tempo si cominciarono a usare scodelle e recipienti dello stesso metallo per la cucina e per la preparazione di farmaci. Anche Plinio il Vecchio ci parla nella sua “Naturalis Historia” di specchi ed ampolle in stagno.


Bottiglietta per l’acquasanta, XI secolo Monza, Tesoro del Duomo

Le grandi migrazioni delle tribù germaniche e i conflitti che seguirono, protrattisi fino all’ XI secolo, ostacolarono ogni possibilità di lavorare lo stagno in quantità considerevoli. Furono fabbricati allora in stagno solo arredi per il culto. Al Concilio di Reims (813) venne ammesso esplicitamente solo l’impiego dello stagno, oltre a quello dell’oro e dell’argento, per la fabbricazione degli oggetti destinati al culto. Ciò è confermato da rinvenimenti sepolcrali della zona di Capétiennes (Francia), in quanto al tempo delle prime crociate era costume seppellire i sacerdoti con calici di stagno, i vescovi e gli abati con pastorali pure in stagno.



Anche l’usanza di portare sul petto piccole immagini in lega di stagno, i cosiddetti distintivi dei pellegrini, è nata probabilmente al tempo delle crociate (XI – XII sec.). Vi si trovava per lo più l’effige dei Santi più venerati nei singoli Paesi. Reperti fluviali attestano inoltre l’usanza di gettare nell’acqua, con intenzione, monetine di stagno.

Nelle comunità religiose si usavano già cucchiai e tazze di stagno. Il monaco benedettino tedesco Teofilo Presbyter descrive, intorno all’anno 1100, nel suo manuale delle arti industriali “Schedula diversarum artium”, la lavorazione di tali suppellettili.

Via via che i popoli prendevano dimora stabile venivano fabbricati in stagno, oltre agli arredi di culto, ivi compresi ostensori, ampolle e bacinelle, anche piatti, brocche e bicchieri in misura sempre crescente. Il popolo comincia a sostituire a poco a poco il vasellame da tavola, fabbricato ancora in legno e in argilla fino a qualche tempo prima, con stoviglie di stagno, materiale assai più resistente e circa nel 1200 incomincia a svilupparsi la lavorazione artigianale del metallo, nei centri più importanti.


Nelle comunità religiose si usavano già cucchiai e tazze di stagno. Il monaco benedettino tedesco Teofilo Presbyter descrive, intorno all’anno 1100, nel suo manuale delle arti industriali “Schedula diversarum artium”, la lavorazione di tali suppellettili.

Via via che i popoli prendevano dimora stabile venivano fabbricati in stagno, oltre agli arredi di culto, ivi compresi ostensori, ampolle e bacinelle, anche piatti, brocche e bicchieri in misura sempre crescente. Il popolo comincia a sostituire a poco a poco il vasellame da tavola, fabbricato ancora in legno e in argilla fino a qualche tempo prima, con stoviglie di stagno, materiale assai più resistente e circa nel 1200 incomincia a svilupparsi la lavorazione artigianale del metallo, nei centri più importanti.

Piatti e bicchieri in peltro: San Otto ospita i religiosi del convento di Michaelberg e li serve ai tavoli.
St.-Michaels-Kirche, Bamberg
Maestro Peltraio Wolfhard – anno 1428: la più antica raffigurazione conosciuta di un laboratorio di peltraio. Il Maestro Wolfhard versa stagno fuso attorno all’anima in legno di un boccale. Dalla staffa, riempita di sabbia o argilla, si ricava la mezza verticale del boccale. Sul pavimento la fossa col metallo fuso. (Tratto da “Hausbuch der Mendelchen 12-Brüder-Stiftung-Nürnberg”, Stadtbibliothek Nürnberg

Questo è confermato dalla costituzione delle Corporazioni artigiane di mestiere in molte città europee: risale al 1285 la prima menzione dei fonditori di Norimberga riuniti in corporazione, Lubecca e Francoforte sul Meno ci danno notizie di fonditori che già alla fine del XIII secolo svolgevano la loro attività. Di Augsburg abbiamo notizie a partire dal 1324; nel 1348 a Londra, nel 1363 a Strasburgo e nel 1375 ad Amburgo. A partire dal 1400 possiamo provare sulla scorta di innumerevoli documenti, l’esistenza di altre Corporazioni a Vienna, Dresda, Regensburg, Ulma, Monaco, Colonia, Lipsia, in altre località minori della Germania Settentrionale, della Sassonia, della Slesia, della Boemia, del Tirolo, della Svizzera e della Svezia.

In Italia è Venezia ad avere la prima stesura definitiva del capitolare della Scuola (sinonimo di corporazione nel lessico veneto) nel 1477; ed in questa si accenna ad una precedente del 1432, che potrebbe anche non essere la prima.


RINASCIMENTO
Il ruolo predominante delle corporazioni nel Rinascimento fa crescere le città in potenza e ricchezza e contribuisce all’elevazione del tenore di vita e delle abitudini ed è allora che ha inizio l’epoca aurea dell’arte del fonditore.
Stoviglie di peltro brillano nelle linde cucine dei borghesi e sugli stipi, sui cassettoni, sulle cornici e davanzali delle stanze contadine. L’ambizione delle nobildonne di campagna è il “locale dei peltri”, riccamente arredato, e nelle corti principesche il “custode dei peltri” veglia sul ricco patrimonio del vasellame da tavola.

Sul finire del XVI secolo l’arte fusoria raggiunge perfezione tecnica con l’esecuzione dei lavori in peltro, che divengono veri e propri oggetti artistici. Fregi ornamentali, disposti geometricamente in forma di barretta, di perla o di foglia, figure e motivi floreali, tratti del mondo antico trasformano il peltro in elemento decorativo, in cui valore consiste non tanto nella sola struttura formale, quanto invece nella ricchezza dei suoi diversi particolari.

Secchiello, inizi XVII secolo Lonato (BS),
Fondazione Ugo da Como

BAROCCO E ROCOCO’
Nei decenni seguenti alla guerra dei Trent’Anni l’arte del fonditore ritrovò in breve un terreno favorevole. Non soltanto nelle case private, negli ospedali, nelle osterie e nelle sale delle Corporazioni, bensì anche nelle stanze dei ricchi patrizi e della nobiltà, ma soprattutto nelle chiese, il vasellame di peltro trovò in misura crescente il suo ambiente accanto all’argenteria e continuamente vennero prodotti nuovi pezzi. Se durante il XVI secolo aveva predominato il carattere ornamentale degli oggetti, dapprima finiti a tutto rilievo, e successivamente, dopo il volger del secolo, decorati limitatamente ai manici e ai beccucci dei recipienti o ai bordi dei piatti, verso la metà del XVII secolo si assiste al ritorno del getto liscio di forma più severa, che solo raramente è ornato da una serie di motivi impressi a cesello. L’affascinante proprietà dello stagno, quella lucentezza che lo rende simile all’argento, può così nuovamente essere messa in risalto.
Il passaggio all’alto Barocco e da questo al Rococò con i suoi oggetti leggeri, slanciati ed estrosi, ornati di delicate nervature asimmetriche, si compie insensibilmente per quanto riguarda gli stampi corrispondenti. L’argento che torna ad affermarsi grazie al crescente benessere delle popolazioni, induce spesso i fonditori ad attingere da esso esempi e modelli. Vengono prodotte principalmente stoviglie da tavola, zuppiere, ciotole e, per l’estendersi del consumo di bevande, come tè o caffè, caraffe panciute provviste di coperchio. Anche crocefissi, candelabri e acquasantiere vengono create in forma armoniosa per le devozioni domestiche. Le grandi dimensioni delle bottiglie, dei vassoi e dei piatti invitano ad incidervi figure e motti in linee morbide e slanciate. Caraffe e boccali furono prodotti in tutti i tipi, con coperchio liscio od ornato, spesso provvisti di beccuccio. I manici, a nastro, erano pure lisci o decorati da rilievi leggeri. Il fondo appiattito veniva saldato talvolta su tre piedi in forma di teste d’angelo con ali o di mascheroni.


CLASSICISMO, BIEDERMAEIER E FLOREALE
Gli anni intorno al 1800 vedono il regresso graduale dell’arte del peltro. Lo stile severo del classicismo, che mal risponde al peltro lavorato, non permettendo al metallo di emanare alcun calore intimo e familiare, sostituisce le linee arrotondate con fregi lineari, recanti delicati sviluppi a bassorilievo di foglie d’acanto, di fronde di quercia, fili di perle e nodi ornati di ghirlande di fiori.
Solo quando si cominciano a riprodurre gli stessi oggetti nello stile Biedermeier, rinasce per tre decenni circa l’amore per il peltro. Tuttavia a paragone della porcellana e del cristallo, la richiesta rimane pressoché insignificante.
Sul finire del XIX secolo venne introdotto lo stile floreale. Lavori notevoli furono realizzati anche in quest’epoca nella realizzazione sia delle forme che dei getti.


IL PELTRO OGGI
Sarebbe lecito supporre che il processo di industrializzazione e il decadere dello stile, abbiano inferto un colpo mortale all’arte del fonditore. Le conseguenze di natura economica del dopoguerra intralciarono l’attività creativa delle botteghe artigianali. Ormai pochi Maestri potevano concedersi il lusso di mantenere lavoranti. Ma si deve a questi Maestri e a un certo numero di esercizi a firma unica se l’antica tradizione è stata conservata. Essi hanno gettato i ponti verso il futuro, preparando un terreno favorevole al riaffermarsi del peltro. Oggi infatti, accanto alle riproduzioni di pregiatissimi pezzi antichi di diverse epoche e stili, i produttori sono in grado di offrire oggetti di nuova concezione, con spunti talora sorprendenti: la varietà delle forme realizzabili, che la versatilità del peltro consente, trova infatti un limite soltanto nella fantasia del designer. Se il peltro antico ha oggi un valore notevole ed è possibile ammirarlo soltanto in musei o presso collezioni private, quello prodotto ai nostri giorni da abili artigiani può donare un tocco di eleganza in più alle nostre case ed il suo valore è destinato senz’altro ad accrescersi nel tempo per divenire il cimelio di domani.